Intervista all’artista Vittoria Gerardi
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Latenza, Acero radicato, carta ai sali d’argento, sviluppo chimico, resina, seme d’acero, cornice in legno sicomoro con smalto su rame, 27x24cm, 2024
Vittoria Gerardi è una fotografa italiana nata a Venezia nel 1996, che vive e lavora tra la Francia e l’Italia. Avvicinatasi giovanissima alla fotografia, ha studiato all’International Center of Photography di New York. La sua prima serie fotografica, intitolata Confine e ispirata al deserto della Death Valley negli Stati Uniti, esplora la relazione tra tempo e materia, un motivo ricorrente della sua arte, così come l’attenzione alla tecnica fotografica, in particolare attraverso l’alterazione del processo chimico nella fase di sviluppo in camera oscura. L’abbiamo incontrata per parlare di Latenza, un progetto in corso da diversi anni, che nella sua più recente evoluzione ha visto il coinvolgimento di Incalmi.

Vittoria Gerardi
Come definirebbe la sua pratica artistica?
Una pratica determinata dal pensiero. Capire il sistema logico dietro a ogni opera è per me fondamentale. Nel visivo, significa andare aldilà di ciò che è rappresentato: non soffermarsi a vedere Madonne, Santi o Apostoli, ma teoria tonale. De Chirico, diceva: “Non cercate significati, ma guardate”. Questo approccio alla creazione mi permette di essere libera.
Com’è nato il progetto Latenza?
Dalla volontà di rivelare la qualità che genera una fotografia: la finzione. Siamo ancora abituati a pensare la fotografia come realtà, come informazione. Confondiamo il dispositivo (la macchina che registra) con il suo effetto (l’esattezza della registrazione). Non esiste fotografia reale perché non esiste fotografia del tempo reale. È sempre già storica: non c’è più. Roland Barthes diceva che una fotografia è un insieme di ciò che è e ciò che è stato. Il problema è che “ciò che è stato” non è dimostrabile. Per questo, considero la fotografia sempre e comunque come finzione. Latenza inverte il processo di rivelazione dell’immagine: la carta fotografica non viene fissata, quindi ci si ritrova con un’immagine che non è mai storica, ma che continua a divenire attraverso la luce. Non è scritta dalla luce, ma è la luce che la scrive.

Latenza, installazione a Bigaignon, Parigi, 2024
Che rapporto c’è dunque con la fotografia tradizionale?
In fotografia, l’immagine latente è l’immagine che precede ogni immagine rivelata (ogni fotografia). Si può dire che non è considerata veramente un’immagine, ma piuttosto come una fase. Una fase di sovrapposizione di due stati opposti della luce: il visibile e l’invisibile. Storicamente, l’intenzione non è mai stata quella di conservare questa fase, ma, anzi, di ridurne le tempistiche: siamo passati da ore, a minuti, a secondi di latenza prima di poter vedere il risultato di un’esposizione fotografica. Per questi motivi, ho trovato che in questa fase ci fosse il substrato tecnico e concettuale per comporre un’immagine fotografica.
Il progetto, già dal nome, deve molto al tema del tempo. In che modo è centrale?
L’essere è memoria, e quindi tempo. La fotografia ha un rapporto particolare con la memoria, e quindi con il tempo. Quando penso, non posso prescindere dal tempo, e quindi il tempo ritorna in ogni cosa che faccio.

Latenza, Felce felice, carta ai sali d’argento, sviluppo chimico, resina, felce secca, cornice in legno sicomoro con smalto su rame, 25x22cm, 2024
Cosa rappresenta per lei il tempo, sia in una dimensione artistica sia esistenziale?
Il tempo è il nostro programma genetico interno, la dimensione in cui viviamo. Non ci è dato pensare senza dimensione temporale, motivo per cui abbiamo i verbi (che chiamiamo tempi): per spazializzare i fenomeni prima, dopo e durante. È uno spazio-tempo, come diceva Kant: “un essere vivente limitato ha in se qualcosa di infinito”. Il tempo è questo infinito. E allora, per quello l’arte: perché è un sistema in cui puoi tornare indietro, cambiare il tempo. È l’unico modo per possedere il tempo.
Come si è evoluto il progetto Latenza?
Introducendo un dispositivo che permette di regolare la trasformazione della carta fotografica, una scatola in legno apribile tramite un’anta fissata lateralmente. L’anta è composta da un cliché in smalto (estraibile e reversibile), mentre all’interno della scatola è montata la fotografia. È la metafora del gatto di Shrödinger: se non apri la scatola, non puoi sapere se la fotografia c’è oppure no. Puoi solo dire che è latente, ossia nascosta.

Latenza: (Verde), di Vittoria Gerardi | Bigaignon, Parigi
Latenza, dettaglio dispositivo, 2024
Latenza, dettaglio dispositivo, 2024
La materia è molto presente nel suo lavoro. Come interagiscono materia e immagine?
Lavoro con la fotografia in camera oscura, dove l’immagine non è mai dissociata dalla materia. È un processo fotochimico: l’emulsione ai sali d’argento reagisce alla luce e crea l’immagine. In qualche modo, in questo processo, l’immagine è materia. Si tratta quindi di sviluppare quello che i greci chiamavano téchne, una tecnica, per trasformare la materia/immagine in una forma.

Latenza, dettaglio smalto, 2024
Quando è iniziata la sua collaborazione con Incalmi, e come?
Ho incontrato Incalmi nel 2023, per passaparola. Mi incuriosiva la tecnica che avevano reintrodotto: lo
smalto su rame. Volevo usarla, ma non sapevo come. Andai a visitare il loro primo spazio a Marghera, dove mi dedicarono una giornata a mostrarmi il processo. Ho trovato un’accoglienza e una disponibilità straordinarie. Iniziai così a collaborare con loro per il progetto Latenza. Passai le prime due settimane a imparare e praticare la tecnica con gli artigiani, e altre due settimane ad alterarla. La supervisione degli artigiani dell’azienda è stata essenziale: il consiglio sui tempi di cottura, sulla quantità di vetro da setacciare per evitare quello che in gergo chiamano “bava”, su come raggiungere un certo tono o trasparenza, è un sapere che ti fa avanzare con la sicurezza del metodo. Per un’artista, è un tipo di collaborazione estremamente prolifica.

Latenza, processo smalto, Incalmi, 2025

Latenza, processo smalto, Incalmi, 2025

Latenza, processo smalto, Incalmi, 2025
Come mai ha deciso di lavorare con lo smalto su rame?
Mi interessava lavorare con il vetro perché è un materiale diafano, che concretizza la sovrapposizione di visibile e invisibile. Ma anche con il rame, che rappresenta il supporto delle prime fotografie: i dagherrotipi erano immagini su rame argentato. Mi ha permesso di costruire un ponte fra le origini e l’oggi della fotografia.

Latenza, processo smalto, Incalmi, 2025

Latenza, processo smalto, Incalmi, 2025
C’è un legame simbolico tra questa materia e il progetto?
Il legame è conferito da un’analogia del processo. Il disegno con lo smalto è il risultato di un’alterazione della tecnica tradizionale e per cui il supporto è in parte protetto/fissato, e in parte attivo/reagente. Lo stesso succede nelle composizioni fotografiche di Latenza.
Quali potenzialità vede in questa tipologia di collaborazione, artista-azienda, soprattutto nel suo campo?
Si tratta di una collaborazione che crea un effetto sinergetico. L’artista pensa la materia e la informa secondo un processo non solamente tecnico, mentre l’azienda fornisce il campo, quello che Flusser chiama “l’apparato”, in cui è possibile muoversi consapevolmente grazie a un sapere e un’esperienza acquisita.
Latenza, dettaglio smalto, 2024
Latenza, Acero radicato, dettaglio, 2024