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Intervista ad Alberto Cavalli
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Alberto Cavalli | ph. Laila Pozzo © Michelangelo Foundation
Alberto Cavalli è una delle voci più autorevoli nella valorizzazione contemporanea dei mestieri d’arte. Esperto di comunicazione, specializzato in lusso e lifestyle, ha fatto dell’artigianato una questione culturale. Dal 2007 dirige la Fondazione Cologni dei Mestieri d’arte, per cui ha ideato e seguito numerosi progetti, tra cui Doppia Firma, che ogni anno alla Milano Design Week mette in dialogo artigianato e design contemporaneo. Dal 2016 è anche direttore esecutivo di Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, l’ente che organizza la rassegna veneziana dedicata all’eccellenza artigiana internazionale Homo Faber. Accanto al lavoro curatoriale e istituzionale, Cavalli è anche ricercatore, docente al Politecnico di Milano e co-autore di due testi fondamentali sull’argomento: Artefici di bellezza e Il valore del mestiere, entrambi pubblicati da Marsilio Editori. Con lui abbiamo parlato di passato e futuro, ma soprattutto di presente, superando la narrazione nostalgica dell’artigianato per ritrovare il senso del made in Italy nella contemporaneità. A partire dalla Divina Commedia di Dante.
Alberto Cavalli, conferenza stampa Homo Faber 2024 | ph. Alexandre Vazquez © Michelangelo Foundation
Definire cosa sono i mestieri d’arte non è semplice: nel 2014 ha dedicato all’argomento un libro, Il valore del mestiere. Elementi per una valutazione dell'eccellenza artigiana, scritto insieme a Giuditta Comerci e Giovanna Marchello. Dunque, cosa sono i mestieri d’arte e cos’è cambiato in questi undici anni?

I mestieri d’arte sono attività di alto artigianato artistico che richiedono una grande destrezza manuale, ma anche consapevolezza e creatività; prevedono una trasformazione creativa e consapevole dei materiali per creare oggetti funzionali, oppure oggetti con finalità più artistiche e decorative, o ancora componenti di un manufatto più ampio – penso al ricamo rispetto all’abito, ai vetri molati rispetto alla credenza, etc. Sono quindi attività in cui non c’è solo esecuzione: il maestro d’arte è sempre un interprete, in grado di leggere il progetto del designer, dell’architetto, dell’artista, per trasformarlo in modo consapevole. Alludo a una consapevolezza che è sia tecnica, di contesto culturale, sia creativa.

Rispetto al 2014 abbiamo osservato un aumento di interesse, soprattutto da parte delle giovani generazioni, nei confronti dei mestieri d’arte. Se una volta c’era un certo paternalismo, un certo “gentile razzismo” verso gli artigiani, oggi vediamo che non essere capaci di fare niente è uno stigma, mentre dimostrare un’abilità – che tu sia un panettiere, un ebanista, un ricamatore – comunica un senso di indipendenza, e anche di contemporaneità. Mi sembra un cambiamento molto importante. Non vorrei essere scioccamente ottimista, ma ciò che è stato fatto in questi anni – non solo da noi – per far capire l’importanza di non disperdere un saper fare legato alla destrezza manuale e alla creatività, ha prodotto qualcosa di concreto.
Homo Faber 2024, Cenacolo Palladiano presso la Fondazione Giorgio Cini | ph. Giulio Ghirardi © Michelangelo Foundation
Che futuro vede per questi mestieri? Alcune delle riflessioni che si fanno sull’intelligenza artificiale sostengono per esempio che con il suo arrivo l’abilità manuale sia diventata ancora più importante, una qualità unica e differenziante.

L’intelligenza artificiale è un collega che si è seduto vicino a noi in ufficio, e che ci resterà. Dico in ufficio, ma può essere in officina, in atelier… ovunque, sperando che non prenderà mai il sopravvento su di noi. L’intelligenza artificiale avrebbe dovuto toglierci tutta una serie di fatiche per permetterci di dedicare più tempo alla creatività, alla destrezza, alla cultura… ma a me sembra che nei cantieri a perdere la vita ci siano sempre gli esseri umani, mentre l’intelligenza artificiale scrive libri e compone musica. Non doveva andare così. In ogni caso, l’AI è uno strumento: dipende dall’uso che ne facciamo noi. Credo che ci siano e ci saranno sempre attività che le mani delle donne e degli uomini, mani animate dalla passione e dall’abilità, sapranno fare meglio di qualunque macchina, e ci saranno sempre prodotti per i quali una produzione affidata interamente all’intelligenza artificiale sarà squalificante. Un testo, per esempio: se si scopre che è stato redatto dall’intelligenza artificiale lo si percepisce di minor valore. Quindi forse è sulla percezione del valore, oltre che sull’intuizione della bellezza, che si gioca ancora il vantaggio competitivo. Poi il mondo è grande e c’è spazio per tutti: però spero che continui a esserci spazio anche per chi, come i maestri artigiani, lavora ogni giorno per creare qualcosa di speciale. Non dobbiamo accettare la standardizzazione come se fosse l’unica strada plausibile per la modernità. Carlo Scarpa diceva che la modernità non è solo mettere vetri e acciaio. Ognuno segua la sua strada.
Homo Faber | ph. Giulio Ghirardi © Michelangelo Foundation
Cosa significa, per Fondazione Cologni e Michelangelo Foundation, promuovere il valore dell’artigianalità e dei mestieri d’arte?

Significa dare prestigio e visibilità al lavoro dei maestri usando un linguaggio contemporaneo, anche uscendo dal feticismo dell’artigiano nella sua bottega. Rimettere i maestri al centro di un sistema di creazione di valore, di senso e di bellezza, in tutti i territori. In Italia lo facciamo con Fondazione Cologni, in tutto il mondo con la Michelangelo Foundation. Eventi come Homo Faber e Doppia Firma portano il lavoro dei maestri artigiani sul radar dei collezionisti, degli architetti, dei creativi, perché più sai e più la tua creatività si allarga. Per esempio: se scopro Incalmi, posso includere nel mio progetto creativo gli smalti. Altrimenti non li userò mai, semplicemente perché non li conosco. Quindi occorre prima di tutto dare visibilità e valore, poi favorire le condizioni di mercato, e dunque lavorare sulla cultura del mestiere d’arte: i clienti devono capire perché pagano così tanto per un bene o un servizio – perché ci sono il lavoro, il materiale, l'impegno, la sostenibilità. Infine occorre assicurare la trasmissione, quindi fare in modo che per questi mestieri ci sia un domani. Entrambe le fondazioni finanziano dei tirocini formativi proprio per contribuire al futuro dei mestieri d’arte.
Homo Faber 2024 | ph. Alexandre Vazquez © Michelangelo Foundation
A livello istituzionale, Giappone e Francia sono esempi virtuosi: cosa si potrebbe fare in Italia?

A mio avviso sono urgenti due cose. La prima è portare avanti una politica economica in cui i mestieri siano al centro dello sviluppo dei territori, così come del miglior made in Italy. Viviamo in un Paese con importanti aziende farmaceutiche, tecnologiche o metalmeccaniche, ma siamo anche un Paese in cui si produce bellezza. La politica economica deve mettere al centro lo sviluppo consapevole di queste realtà in tutti i loro territori, anche per prevenire lo spopolamento di zone che invece sono ricche di opportunità.
La seconda è lavorare sulla formazione. Se lei va in Francia, all’École Boulle [un istituto superiore di arti e mestieri, e di arti applicate a Parigi, N.d.R.], ne esce con il cuore che canta per la meraviglia, ma anche col cuore che sanguina, perché noi in Italia quel treno l’abbiamo perso.
Si può ancora fare qualcosa: bisogna avere il coraggio di offrire ai giovani delle opportunità di formazione. Costoso? Sì, ma come diceva Abraham Lincoln: “Se pensate che l’educazione costi cara, provate l’ignoranza”.

Hai parlato molto sia di heritage, sia di savoir faire, che sono due temi che tornano spesso nel dibattito contemporaneo. Diresti che sono queste due cose a definire il lusso nel design?

Sì, ha senso nel momento in cui made in Italy non è solo un’indicazione geografica. Il made in Italy ha senso se intorno a questa geografia costruiamo una storia, anzi tante storie. Made in Italy significa cura, prestigio, eredità, uno sguardo nuovo. Significa alludere, con questo concetto, a quel “dolce stil novo” di cui Bonagiunta Orbicciani parla a Dante nella Divina Commedia. Lo stile italiano è dolce quando lo assapori, lo vivi, ed è anche nuovo perché ti sorprende sempre. Certo, siamo il Paese della tradizione; ma cerchiamo sempre un modo per cambiare – senza rivoluzionare, ma per sedurre in maniera positiva. Quando rappresenta un lavoro che dà senso al nostro vivere – quello è il Made in Italy che occorre preservare e promuovere.

Abbiamo parlato dell’importanza della formazione e dei giovani. Trova che ci sia una differenza di approccio fra vecchie e nuove generazioni? In un’intervista che ho letto sottolineava per esempio la centralità che ha assunto la comunicazione del proprio lavoro.

Sì, c’è una differenza di approccio, ma anche di consapevolezza. L’artigiano vuole lavorare. Ma oggi deve anche essere all’altezza della bellezza del suo lavoro, e deve essere saggio nella gestione dell’impresa. E non tutti siamo bravi a fare tutto. Miuccia Prada è un genio, ma con lei c’è Patrizio Bertelli. Anche Valentino è un genio, ed è sempre stato affiancato da Giancarlo Giammetti. Dolce & Gabbana sono complementari. Oggi più che mai è importante che l’artigiano si renda conto di essere anche un imprenditore, un produttore di cultura, un ambasciatore del proprio territorio. Proprio per questo quando finanziamo i tirocini formativi in Italia o all’estero, li facciamo precedere da mini-master, in cui diamo qualche strumento in più per saper gestire la propria azienda, per saper comunicare e anche per capire quando non si è in grado di farlo, e quindi è necessario chiamare qualcuno che ci aiuti.

Nel progetto Doppia Firma, le realtà artigianali sono accoppiate a designer contemporanei: chi trae più beneficio da questo incontro, gli artigiani o i designer?

Cerchiamo di fare in modo che il beneficio sia equamente distribuito. Sicuramente tutti beneficiano della grande visibilità di Doppia Firma, che a ogni edizione viene visitata da quindici, sedici, diciotto mila persone. Abbiamo un catalogo stampato, un sito dedicato, un’ottima rassegna stampa. Facciamo scattare tutti gli oggetti da una fotografa, abbiamo anche sempre le foto delle coppie, e designer e artigiani firmano un contratto per assicurarsi la proprietà intellettuale dell’opera. Insomma, cerchiamo di fare le cose bene. Quindi credo che i benefici siano equamente distribuiti; poi sta a ciascuno capitalizzare la relazione. Come si dice, “il ponte è di Dio e i passi sono degli uomini”.
Alberto Cavalli, Doppia Firma 2022 | ph. Luca Rotondo
Incalmi ha partecipato a Doppia Firma con un progetto sullo smalto su rame, una tecnica quasi scomparsa che ha contribuito a riportare in vita. Ci sono altri mestieri o tecniche che, dopo essere stati dimenticati, sono recentemente tornati alla ribalta, grazie o meno a Doppia Firma?

Direi di sì. Qualche anno fa presentammo un pezzo realizzato in merletto di Burano e disegnato da India Mahdavi. Ora, il merletto di Burano non è proprio nel radar della contemporaneità, eppure il pezzo di India Mahdavi ebbe un successo immenso. Così come le tecniche legate al legno, e penso al pezzo di Ahmad Angawi per i Fratelli Boffi. Devo dire, senza fare figli e figliastri, che dove c'è la scintilla del dialogo si va subito in un’altra dimensione, come nel caso di Incalmi con Zanellato/Bortotto, che hanno continuato a collaborare. Quest’anno si è creato un dialogo stupendo tra il designer calabrese Antonio Aricò e Elena Milani, ceramista della Valchiavenna. Dall’estremo Nord all’estremo Sud è nata una collaborazione importante: tre pezzi meravigliosi di grandissimo impatto. E l’anno scorso è stato lo stesso con Agostino Iacurci e Rosetta Gava, una collaborazione che ha rivelato il potenziale della vetrata artistica nell’arredamento contemporaneo. Certo, bisogna avere un po’ di audacia e la mano ferma per guardare al contemporaneo e non all’imitazione dell’antico.
Il fatto di aver vinto, con Doppia Firma, tre Wallpaper* Design Awards, ci fa pensare di essere sulla strada giusta.
Zanellato/Bortotto Studio, Doppia Firma 2022 | ph. Luca Rotondo
Incalmi, Doppia Firma 2022 | ph. Luca Rotondo
Ha iniziato la sua carriera da Dolce&Gabbana e per molti anni è stato corrispondente per la sezione lusso e lifestyle di un quotidiano economico. Che rapporto esiste tra lusso e artigianato?

Penso che non possa esistere vero lusso senza la presenza del tocco umano. Ci può essere eccellenza senza lusso? Sì. E lusso senza eccellenza, e dunque senza artigianalità? No. Avremo un prodotto costoso – il mondo è grande e c’è posto per tutti. Ma se vuoi far parte della grande famiglia che rappresenta il meglio, l’eccellenza – quindi in excelsis, ciò che sta in alto ed è d’esempio – ci sono delle regole, e una di queste è l’inclusione consapevole dell'artigianalità nella realizzazione dei prodotti.

In un’intervista ha detto che nei libri e nelle opere d’arte cerca sempre una visione originale: cosa significa originalità nel mondo dell’artigianato?

Originale ha due significati. Vuol dire vicino all’origine: il prodotto artigianale nasce da un territorio e rappresenta quel territorio, quella storia. Originale però implica anche il possesso di un tratto, una qualità, di distinzione positiva, di novità. Il maestro artigiano è in grado di far convivere entrambi questi significati: è vicino all’origine, alla fonte, ma fa anche qualcosa di diverso da qualsiasi cosa tu abbia mai visto. Ancora una volta, dunque, il maestro artigiano diventa l’emblema di questa italianità dello stile che appunto, come dicevo, già Dante tratteggiava come dolce e nuovo.