A livello istituzionale, Giappone e Francia sono esempi virtuosi: cosa si potrebbe fare in Italia?
A mio avviso sono urgenti due cose. La prima è portare avanti una politica economica in cui i mestieri siano al centro dello sviluppo dei territori, così come del miglior made in Italy. Viviamo in un Paese con importanti aziende farmaceutiche, tecnologiche o metalmeccaniche, ma siamo anche un Paese in cui si produce bellezza. La politica economica deve mettere al centro lo sviluppo consapevole di queste realtà in tutti i loro territori, anche per prevenire lo spopolamento di zone che invece sono ricche di opportunità.
La seconda è lavorare sulla formazione. Se lei va in Francia, all’École Boulle [un istituto superiore di arti e mestieri, e di arti applicate a Parigi, N.d.R.], ne esce con il cuore che canta per la meraviglia, ma anche col cuore che sanguina, perché noi in Italia quel treno l’abbiamo perso.
Si può ancora fare qualcosa: bisogna avere il coraggio di offrire ai giovani delle opportunità di formazione. Costoso? Sì, ma come diceva Abraham Lincoln: “Se pensate che l’educazione costi cara, provate l’ignoranza”.
Hai parlato molto sia di heritage, sia di savoir faire, che sono due temi che tornano spesso nel dibattito contemporaneo. Diresti che sono queste due cose a definire il lusso nel design?
Sì, ha senso nel momento in cui made in Italy non è solo un’indicazione geografica. Il made in Italy ha senso se intorno a questa geografia costruiamo una storia, anzi tante storie. Made in Italy significa cura, prestigio, eredità, uno sguardo nuovo. Significa alludere, con questo concetto, a quel “dolce stil novo” di cui Bonagiunta Orbicciani parla a Dante nella Divina Commedia. Lo stile italiano è dolce quando lo assapori, lo vivi, ed è anche nuovo perché ti sorprende sempre. Certo, siamo il Paese della tradizione; ma cerchiamo sempre un modo per cambiare – senza rivoluzionare, ma per sedurre in maniera positiva. Quando rappresenta un lavoro che dà senso al nostro vivere – quello è il Made in Italy che occorre preservare e promuovere.
Abbiamo parlato dell’importanza della formazione e dei giovani. Trova che ci sia una differenza di approccio fra vecchie e nuove generazioni? In un’intervista che ho letto sottolineava per esempio la centralità che ha assunto la comunicazione del proprio lavoro.
Sì, c’è una differenza di approccio, ma anche di consapevolezza. L’artigiano vuole lavorare. Ma oggi deve anche essere all’altezza della bellezza del suo lavoro, e deve essere saggio nella gestione dell’impresa. E non tutti siamo bravi a fare tutto. Miuccia Prada è un genio, ma con lei c’è Patrizio Bertelli. Anche Valentino è un genio, ed è sempre stato affiancato da Giancarlo Giammetti. Dolce & Gabbana sono complementari. Oggi più che mai è importante che l’artigiano si renda conto di essere anche un imprenditore, un produttore di cultura, un ambasciatore del proprio territorio. Proprio per questo quando finanziamo i tirocini formativi in Italia o all’estero, li facciamo precedere da mini-master, in cui diamo qualche strumento in più per saper gestire la propria azienda, per saper comunicare e anche per capire quando non si è in grado di farlo, e quindi è necessario chiamare qualcuno che ci aiuti.
Nel progetto Doppia Firma, le realtà artigianali sono accoppiate a designer contemporanei: chi trae più beneficio da questo incontro, gli artigiani o i designer?
Cerchiamo di fare in modo che il beneficio sia equamente distribuito. Sicuramente tutti beneficiano della grande visibilità di Doppia Firma, che a ogni edizione viene visitata da quindici, sedici, diciotto mila persone. Abbiamo un catalogo stampato, un sito dedicato, un’ottima rassegna stampa. Facciamo scattare tutti gli oggetti da una fotografa, abbiamo anche sempre le foto delle coppie, e designer e artigiani firmano un contratto per assicurarsi la proprietà intellettuale dell’opera. Insomma, cerchiamo di fare le cose bene. Quindi credo che i benefici siano equamente distribuiti; poi sta a ciascuno capitalizzare la relazione. Come si dice, “il ponte è di Dio e i passi sono degli uomini”.