culture
Intervista a Valentina Cameranesi
condividi
Share icone
Valentina Cameranesi | ph. Piergiorgio Sorgetti
Designer, direttrice creativa e set designer indipendente, nella sua ricerca personale Valentina Cameranesi Sgroi esplora il lato poetico dell’oggetto decorativo. Le sue creazioni indagano le più diverse tecniche artigianali, reinterpretate con uno sguardo contemporaneo che si nutre di riferimenti colti, dal cinema alla moda, per dare vita a oggetti di una bellezza straniante e misteriosa. Per Incalmi, Cameranesi Sgroi firma Allegretto, il progetto presentato in esclusiva a EDIT Napoli 2025.
A EDIT Napoli presenterai Allegretto: di cosa si tratta?

Allegretto è un progetto che ho sviluppato insieme a Incalmi, una reinterpretazione del loro sistema modulare Maniera. Il sistema si compone di una griglia, una struttura potenzialmente infinita, estendibile e rimovibile, su cui è applicato un rivestimento. Io ho lavorato proprio su questo: su come alterarlo, distorcerlo e manipolarlo. A completare la parete in rame smaltato sono poi piccoli oggetti, di dimensioni, materiali e proporzioni differenti, che esplorano il tema del colore, centrale in questo progetto. È come se ogni colore avesse un po’ una sua forma d’elezione, una sua nota d’elezione — da qui il riferimento musicale.

È un’interpretazione d’autore.

Sì. Il sistema Maniera si basa su un concetto quasi ingegneristico, e il mio lavoro è stato dargli una forma che potesse valorizzare le sue potenzialità di personalizzazione – oggi a interpretarlo sono io, ma domani potrebbe essere un altro designer, un architetto. Chiunque può decidere come andare a lavorare sulla griglia, come se fosse un pentagramma su cui ciascuno può scrivere la sua musica.
Valentina Cameranesi durante una delle fasi progettuali | ph. Piergiorgio Sorgetti
Il passaggio da Maniera ad Allegretto, la deformazione di cui parli, avviene proprio sotto gli occhi dello spettatore.

Sì esatto, si parte da una parete che è al 100% Maniera, e lentamente il rivestimento comincia a deformarsi, come se si spogliasse, si muovesse, si aprisse. C’è naturalmente un’idea di unità, il materiale è comune, l’approccio è comune, ma a un certo punto le linee non sono più dritte, e rimangono solo linee spezzate da curve, un po’ come succede nella chiave di violino, o in alcune piante di chiese barocche. Questo dà anche movimento alla parete, non un movimento meccanico, acuito dall’incidenza della luce sul materiale. In corso d’opera mi è capitato di definire la parete “sensuale”, dove la sensualità è legata alla materia, al coinvolgimento di tutti i sensi, anche se ovviamente, come in tutti i progetti contemporanei, l’impatto visivo resta il più forte.

Com’è nata la collaborazione tra te e Incalmi?

Ci siamo conosciuti qualche anno fa. Stavo sviluppando dei progetti per una mostra alla Jacqueline Sullivan Gallery di New York. Amo molto il lavoro di Fausto Melotti sulla ceramica, e sono affascinata dalla tecnica dello smalto su rame, quindi mi è venuta l’idea di unire le due cose. Facendo una ricerca, ho scoperto che il laboratorio di Incalmi era l’unico a fare questa lavorazione. Abbiamo iniziato a collaborare, soprattutto su progetti miei. Sono stati loro, in seguito, a coinvolgermi su questo.

Quanto ha contato il luogo che vi è stato assegnato, l’ex ospedale militare della Santissima, nella definizione del progetto?

Molto, nel senso che a partire dallo spazio sono andata a ipotizzare anche l’impatto visivo del progetto, un approccio naturale nel set design, che è una delle cose di cui mi occupo. Avere delle coordinate, dei limiti, mi aiuta sempre molto: in questo caso ho deciso che avrei lavorato attorno alle due finestre, che sarei andata a vestire lo spazio includendo il paesaggio esterno in quello interno. Non si tratta di qualcosa di concettuale, semplicemente ho lavorato su un angolo di stanza come se fosse la sezione di uno spazio minimo – minimo nel senso di ridotto, non minimale.
Dettaglio di uno degli elementi decorativi realizzati per Allegretto | ph. Piergiorgio Sorgetti
Dettaglio del foglio in smalto su rame per Allegretto | ph. Piergiorgio Sorgetti
Diresti che questo approccio dipende dal fatto che in te sono racchiuse più anime – quella di art director, quella di designer e quella di set designer?

Sicuramente. Lavorando con i set, le installazioni, e anche con l’immagine fotografica, penso subito all’impatto visivo generale: un oggetto per me non è mai solo un oggetto, è un oggetto in un contesto. Perciò il contesto è imprescindibile da un punto di vista progettuale.

Nei materiali progettuali, dichiari che l’idea di imperfezione è una condizione necessaria: cosa significa, e come si traduce concretamente?

Significa che quelli che possono sembrare problemi, per me non lo sono. All’inizio capitava che gli artigiani mi dicessero “questo non è venuto bene”, e io rispondevo “bello invece, teniamolo così”. È stato un modo di scoprirsi a vicenda, e probabilmente molto si deve alla natura dello smalto su rame, a come si comporta a livello chimico: è stato naturale capirlo insieme.

Perché con lo smalto su rame non si sa cos’è successo finché l’oggetto non esce dal forno. Però c’è comunque chi ricerca un disegno preciso, o l’esatta sfumatura.

Penso che, soprattutto adesso che potenzialmente possiamo avere tutto come lo vogliamo, che abbiamo il massimo controllo di tutto, il bello stia proprio nell’accettazione, nella capacità di vedere le cose con uno sguardo diverso. Siamo troppo abituati a progettare e pianificare tutto, ma includere l’errore, l’inaspettato, è necessario – anche nella vita.
Bozza Allegretto | ph. Piergiorgio Sorgetti
Bozza Allegretto | Valentina Cameranesi
Allegretto si compone di tante forme diverse. Come sono nate?

Il sistema Maniera è una griglia – un quadrato o un rettangolo. A me interessava deformarlo, come se gli elementi fossero scossi dal vento. In fase progettuale lavoro molto con il cartoncino, e mi piaceva l’idea di ricreare la forma di un foglio lasciato al sole, che si accartoccia e si richiude su se stesso, diventando tridimensionale. Per questo secondo me, più che una forma, è un concetto riadattato in varie forme.

Lavori spesso sul contrasto tra grezzo e rifinito: che importanza hanno i contrasti?

Un’importanza assoluta: secondo me non può esistere il bello senza il brutto. Cos’è che definisce il bello? E cos’è che definisce il brutto? A volte è proprio il contrasto tra i due a risultare stimolante, e magari si ribaltano i ruoli – e ciò che è brutto può diventare bello, a seconda del contesto. Questo da un punto di vista di approccio in generale. In questo caso specifico, sicuramente il primo contrasto è tra la griglia d’alluminio – rigida, importante – e l’estetica leggera e giocosa di tutte queste forme che si sviluppano nello spazio. Un altro contrasto è negli abbinamenti di colori, che non sono mai banalmente “giusti”. C’è un nero insieme a un verde, per esempio. Mi sono resa conto di aver usato tanto nero, forse perché volevo provare a creare quasi un trompe-l’œil al contrario, facendo sembrare una cosa che è tridimensionale un outline, un 2D.

Contrasti che diventano spesso anche materici: naturale-artificiale, duro-morbido… C’è questo elemento anche in Allegretto?

Sì, naturalmente ci sono anche dei contrasti materici, prima di tutto tra il rame smaltato, sofisticato e ricco, e le strutture in alluminio lasciate nude: sono due mondi lontani tra loro, uno decorativo e uno tecnico. La parete metallica poi è completata da un piccolo tatami, che suggerisce un’idea di morbidezza, di riposo, di quiete, oltre a essere interessante dal punto di vista formale, perché è un piccolo segmento orizzontale in una grande foresta verticale.
Alcuni dei elementi in smalto su rame che compongono Allegretto | ph. Piergiorgio Sorgetti
Come sei arrivata a questi colori?

È stato veloce e spontaneo. Io lavoro con i colori con molta serenità – ho una grande passione per i tessuti, disegno con le matite colorate, non ho paura di usare il colore. È vero che ci sono delle tonalità molto mie, che uso sempre, e questa volta ho cercato di forzarmi e usarne altre, come per esempio il nero, o delle tinte acide perché mi piace il loro aspetto sullo smalto. Il colore cambia molto a seconda del materiale. Per esempio il rosso è un colore con cui ho un rapporto conflittuale. Allora ho lavorato con dei rossi che non sono mai veramente rossi — un rosso pesca, un rosso ciliegia – che diventano dettagli, accenti. Ma è un lavoro così istintivo che non solo non so spiegarlo, non riesco quasi a capirlo nemmeno io. Tra l’altro, non so perché, nella mia mente Allegretto e Arlecchino hanno quasi lo stesso significato. Penso che non possa esistere vero lusso senza la presenza del tocco umano. Ci può essere eccellenza senza lusso? Sì. E lusso senza eccellenza, e dunque senza artigianalità? No. Avremo un prodotto costoso – il mondo è grande e c’è posto per tutti. Ma se vuoi far parte della grande famiglia che rappresenta il meglio, l’eccellenza – quindi in excelsis, ciò che sta in alto ed è d’esempio – ci sono delle regole, e una di queste è l’inclusione consapevole dell'artigianalità nella realizzazione dei prodotti.

Per te gli oggetti non sono mai solo oggetti, sono presenze espressive che evocano mondi. In Allegretto hai incluso un campionario, un finto rossetto, un vasetto, il letto minimo ispirato al tatami di cui parlavi prima: qual è stato il tuo universo di riferimento?

Ho interpretato questa parete verticale come un mondo, un mondo minimo, ridotto, ma impreziosito da piccoli oggetti che puoi toccare, puoi prendere in mano. Mi piaceva l’idea di creare uno spazio transitorio ma non anonimo. Come una camera d’albergo, ma non nel senso della destinazione d’uso, quanto piuttosto nell’idea di uno spazio che è tuo per un momento, in cui ci sono i tuoi trucchi e i tuoi vestiti, le tue memorie del passato e le proiezioni del futuro. Ho voluto lasciare tutto volutamente astratto, perché potesse lasciare liberi di immaginare come può cambiare nel tempo.
Foglio di rame smaltato a fuoco | ph. Piergiorgio Sorgetti
Cerniere del mobiletto Sbilenco | ph. Piergiorgio Sorgetti