Il passaggio da Maniera ad Allegretto, la deformazione di cui parli, avviene proprio sotto gli occhi dello spettatore.
Sì esatto, si parte da una parete che è al 100% Maniera, e lentamente il rivestimento comincia a deformarsi, come se si spogliasse, si muovesse, si aprisse. C’è naturalmente un’idea di unità, il materiale è comune, l’approccio è comune, ma a un certo punto le linee non sono più dritte, e rimangono solo linee spezzate da curve, un po’ come succede nella chiave di violino, o in alcune piante di chiese barocche. Questo dà anche movimento alla parete, non un movimento meccanico, acuito dall’incidenza della luce sul materiale. In corso d’opera mi è capitato di definire la parete “sensuale”, dove la sensualità è legata alla materia, al coinvolgimento di tutti i sensi, anche se ovviamente, come in tutti i progetti contemporanei, l’impatto visivo resta il più forte.
Com’è nata la collaborazione tra te e Incalmi?
Ci siamo conosciuti qualche anno fa. Stavo sviluppando dei progetti per una mostra alla Jacqueline Sullivan Gallery di New York. Amo molto il lavoro di Fausto Melotti sulla ceramica, e sono affascinata dalla tecnica dello smalto su rame, quindi mi è venuta l’idea di unire le due cose. Facendo una ricerca, ho scoperto che il laboratorio di Incalmi era l’unico a fare questa lavorazione. Abbiamo iniziato a collaborare, soprattutto su progetti miei. Sono stati loro, in seguito, a coinvolgermi su questo.
Quanto ha contato il luogo che vi è stato assegnato, l’ex ospedale militare della Santissima, nella definizione del progetto?
Molto, nel senso che a partire dallo spazio sono andata a ipotizzare anche l’impatto visivo del progetto, un approccio naturale nel set design, che è una delle cose di cui mi occupo. Avere delle coordinate, dei limiti, mi aiuta sempre molto: in questo caso ho deciso che avrei lavorato attorno alle due finestre, che sarei andata a vestire lo spazio includendo il paesaggio esterno in quello interno. Non si tratta di qualcosa di concettuale, semplicemente ho lavorato su un angolo di stanza come se fosse la sezione di uno spazio minimo – minimo nel senso di ridotto, non minimale.