Come sono cambiate, se vi sembra che siano già cambiate, le proposte che vi arrivano ogni anno?
Sono sempre più consapevoli del segmento al quale apparteniamo. C’è sempre più chiarezza negli obiettivi. I prodotti sono veicoli per le relazioni: gli espositori di EDIT si conoscono a Napoli e continuano a frequentarsi e spesso ad attivare nuove collaborazioni. Questo perché sono abituati a seguire tutto il processo: la scelta del materiale, dei fornitori, il controllo della produzione; e quindi anche il momento della vendita deve andare in continuità con questo, non può essere un rapporto impersonale mediato solo da uno schermo. Prima ci vuole una stretta di mano, poi si possono fare e-commerce e call.
Cosa caratterizza il pubblico di EDIT Napoli, anche rispetto ad altri eventi del mondo del design? Com’è cambiato, se è cambiato, nel corso di questi anni?
Il pubblico degli espositori e quello dei compratori si assomiglia molto. Amiamo dire che siamo una comunità (e lo dicevamo anche prima che fosse un termine un po’ abusato), perché davvero sono le relazioni la parte più longeva di questa attività. E poi stiamo diventando un riferimento per chi ha bisogno del giusto contesto per farsi conoscere: giovani progettisti e nuove imprese. La nostra sezione giovani, il Seminario, è ogni anno più nutrita e più internazionale. Evidentemente il passa parola sta dando i suoi frutti e chi è stato “lanciato” da EDIT è il nostro migliore testimonial!
Quali sono i temi sui quali secondo voi una realtà come Incalmi – che si occupa di ricerca, progettazione e product development – dovrebbe riflettere oggi?
Una realtà come Incalmi fa un lavoro fondamentale di aggiornamento di materie e processi antichi con estetiche e funzionalità contemporanee. Per noi la sfida è ancora in gran parte nel comunicare la complessità di tutto questo, nel far arrivare al grande pubblico di potenziali acquirenti perché questi oggetti hanno un senso, un’efficacia e anche un’anima. E che questo ha anche un valore economico, che è sintomo di serietà: bisogna imparare a diffidare da quello che costa troppo poco, perché quasi sempre nasconde un’ingiustizia, una “non-giustezza”. Ecco, c’è anche una missione etica in un progetto come il vostro/nostro.
Pensate che esista ancora una specificità italiana nel design? E nel saper fare artigianale?
La qualità è del mondo. Poi ognuno ha la propria storia particolare. Quelle italiane sono particolarmente belle se sanno rispettare la complessità del nostro modo di fare, che è sempre stato più trasversale e generalista e meno specifico-specializzato di altre culture.
«Per noi la sfida è ancora in gran parte nel comunicare la complessità di tutto questo, nel far arrivare al grande pubblico di potenziali acquirenti perché questi oggetti hanno un senso, un’efficacia e anche un’anima»