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Intervista ai designer Luca De Bona e Dario De Meo
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Luca De Bona e Dario De Meo | Incalmi @ Design Variations Milano 2023
Luca De Bona e Dario De Meo sono i fondatori dell’omonimo studio di design Debonademeo. Autori di progetti che puntano a superare il dualismo forma-funzione per arricchire di valore espressivo l’habitat contemporaneo, sono i designer che abbiamo scelto per accompagnarci nella definizione di una collezione capace di sintetizzare la nostra cultura e il saper fare della nostra rete di artigiani. Li abbiamo intervistati per conoscere meglio il loro approccio progettuale e per ascoltare il loro punto di vista sul progetto che stiamo sviluppando insieme, Ossimori.
Ossimori Bookcase & Consolle | Incalmi Collection 2023
Quando è nato il vostro studio e perché avete deciso di aprirlo insieme?

Dario De Meo: Lo studio è nato più di dieci anni fa. Io sono un designer, Luca è un architetto, e anche se le nostre professioni spesso si incrociano, guardano il mondo del design da punti di vista diversi. Questo è stato per noi un valore aggiunto perché lavorando insieme abbiamo visto che i risultati erano qualcosa di nuovo, innovativo e più completo sotto ogni punto di vista.

Luca De Bona: È stata un’esigenza di completamento: dove uno lancia l’altro crea, e questo è diventato anche il nostro metodo progettuale. Non ci diamo mai dei compiti, partiamo entrambi dal brief, dalla richiesta. Spesso i clienti ci chiedono chi è il tecnico e chi è la figura poetica, e rimangono spiazzati quando rispondiamo che le idee, che siano poetiche o hi-tech, nascono sempre dal dialogo.

Quali sono i presupposti progettuali?

DDM: Come diceva Luca, il dialogo. La base del progetto è l’ascolto, l’osservazione. Osserviamo cosa ci circonda, creiamo relazioni. Ogni volta che incontriamo un’azienda ci troviamo davanti delle persone che hanno il loro background, la loro storia, ma anche desideri, preoccupazioni, e questo ci dà sempre nuovi spunti concettuali.

LDB: Il nostro metodo prevede di creare un dualismo tra forma e funzione. Non ci piace quando il design è soltanto una risposta materica o tecnologica, così come non ci piace quando il design eccede nell’essere espressione artistica, decorazione o è troppo legato al linguaggio del suo artefice: ci piace invece quando esiste un dualismo, quando queste due cose sono in equilibrio perfetto tra loro. D’altra parte il dualismo è anche quello che c’è tra la nostra idea e quello che accade nelle mani dell’utilizzatore, il cortocircuito tra quello che per noi è un file e quello che diventa prodotto, e quello che da prodotto diventa oggetto di culto, oggetto dei desideri, qualcosa che trasforma un ambiente in una casa. Dualismo è infine ragionare sul hic et nunc, il qui e ora: qualunque sia il brief e il genere di prodotto su cui ci stiamo accingendo a ideare una proposta ci chiediamo sempre di cosa c’è bisogno oggi, di cos’ha bisogno la società, anche a livello inespresso. E come si può creare un hic et nunc mettendo insieme l’azienda con il suo background, il suo know-how, i materiali che utilizza, e il nostro modo di esprimerci.

Siete consulenti nell’ambito del colore per alcune aziende di design. Cosa significa, in cosa consiste il vostro lavoro?

DDM: Consiste in una ricerca continua, basata sull’osservazione della società e delle persone. Creare e cercare le tendenze significa avere una visione a 360° di ciò che accade nel mondo, riuscire a percepire il fil rouge tra cose anche molto lontane tra loro. È un lavoro complesso, non è una scienza, è un lavoro di sensibilità che richiede di comprendere quali sono le attuali macro tendenze – per esempio la tecnologia o la sostenibilità – e trasformarle in brief per sviluppare o scegliere dei colori, materiali, finiture che possano far nascere nelle persone delle emozioni.
È importante sottolineare che la ricerca delle tendenze non è solo colore, perché il colore, ad esempio, ha sempre una texture in base a dove viene applicato, quindi è fondamentale parlare di percezione tridimensionale della realtà.

LDB: Quando facciamo una consulenza sul colore a un cliente la prima cosa che facciamo è intervistarlo, quasi psicanalizzarlo, perché il colore segue le tendenze, risponde a delle esigenze di mercato, ma c’è anche un colore dentro ognuno di noi. Spesso chiediamo al cliente: “se la tua azienda fosse un colore, che colore sarebbe?”. Sembra una domanda puerile, ma a volte escono risposte inattese, e loro stessi si sorprendono perché magari sono abituati a vedersi circondati da una tipologia di colore ma nell’anima dell’azienda ne vedono un’altra.

Ve lo chiedo anche io: se Debonademeo fosse un colore?

LDB: Probabilmente saremmo il colore che si vede nel nostro sito, un colore non colore. Una tinta neutra e al contempo calda, materica, che ricorda l’armonia tra i materiali.

DDM: Come il greige di Giorgio Armani.

Quali sono le tendenze in questo momento, e quali quelle dei prossimi anni?

LDB: Sicuramente le tendenze in corso hanno a che fare con gli aspetti sociali. Non è un caso che in un’epoca di benessere economico come gli anni Duemila la compagine del minimalismo caratterizzasse non solo gli ambienti, ma anche i materiali e i cromatismi, che erano molto chiari. Invece in un momento di difficoltà o instabilità l’essere umano ha bisogno di circondarsi di colori, non necessariamente forti o accesi, ma colori che diano un senso di sicurezza, di protezione, di benessere. In questo momento il mondo dell’arte, da cui traiamo ispirazione perché è indipendente dalle richieste dei brand, ci fa capire che stiamo andando verso dei cromatismi che hanno a che fare con un minimalismo soft. Tornano toni freddi, toni razionali, toni strutturati ma anche tonalità che danno un senso di morbidezza e di calore.
Veniamo al progetto che avete presentato al Fuorisalone insieme a Incalmi, Ossimori. Il progetto si è evoluto rispetto a com’era stato pensato inizialmente?

LDB: Ossimori è un progetto aperto: l’abbiamo scritto come se fosse la traccia di un film, sapevamo che, un po’ per la scelta di abbinare materiali diversi, che è stato il diktat da cui siamo partiti, e anche per una questione di modalità di lavoro e di persone coinvolte, si sarebbe creato qualcosa di inaspettato. Agli esordi non ci saremmo aspettati di creare insieme al prodotto anche un ambiente Ossimori – è stata una circostanza legata al Salone del Mobile, alla location che ci è stata proposta da Design Variations – ma alla fine siamo riusciti a far entrare lo spettatore nel mondo Ossimori. A livello progettuale, nel tempo sono cambiate molte cose, ma cambiando gli addendi il risultato non cambia, l’ossimoro c’è, ed è ancora più forte.

DDM: È diventato più Incalmi. Noi siamo partiti dal racconto, mettendo a punto un progetto razionale, che poi si è riempito di quell’opulenza che è anche un po’ intrinseca ai materiali, per esempio aver usato il vetro di Murano ha arricchito il progetto. Anche aggiungere i complementi ha rafforzato quello che di primo acchito poteva essere un progetto quasi concettuale, bello ma non utilizzabile, dandogli una proporzione umana perché gli oggetti, la scala degli oggetti, ha reso un prodotto che rischiava di essere museale più che domestico.

Forse questo è servito a rimanere coerenti al vostro approccio, facendo convergere forma e funzione.

DDM: Sì, doveva essere un’esperienza reale, volevamo che le persone potessero toccarlo, usarlo, non doveva essere solo visto ma anche vissuto.

LDB: Ci piace il paradosso per cui un oggetto di design museale crea un cortocircuito con la vita di tutti i giorni. È un oggetto vivo, basta spostarlo o cambiare punto di vista per notarne dei dettagli, apprezzarne la forma e le interazioni con la luce.

Come avete affrontato il tema del colore in questo progetto?

DDM: È stato molto interessante vedere Incalmi al lavoro: noi siamo partiti con un’idea, ma poi ci siamo resi conto che sia il vetro che lo smalto sono materiali vivi, sono materiali che una volta messi in forno possono cambiare completamente cromia in base alla temperatura del forno, al tempo di permanenza. Abbiamo fatto tante prove per ottenere il perfetto bilanciamento dei cromatismi. Non è stata una scelta a tavolino, è stata una scelta di laboratorio.

LDB: È uscito, neanche a farlo apposta, un color albicocca, che sarà uno dei colori di tendenza dei prossimi anni.

Quali evoluzioni immaginate per questo progetto?

LDB: Ossimori non è finito. La collezione vista in fiera si potrà espandere in forme diverse – nel progetto avevamo incluso anche specchiere e altri complementi d’arredo realizzati nello stesso modo. In più a questo punto abbiamo fatto entrare in gioco il vetro di Murano: sarà divertente capire cosa il vetro ci permette di fare, e vedremo come si modificano i colori codificati dalla tradizione quando vengono abbinati a queste lastre. Se il rosa può diventare un’albicocca, vedremo cosa accadrà con il blu e con il verde. Il progetto prevede altri cinque o sei temi che verranno sviluppati da adesso in poi a livello di complemento, oggetti che giocano con la percezione, con la prospettiva e con il contrasto tra materiali, che può anche non essere un contrasto tra materiali diversi ma un contrasto monomateriale però che gioca con reazioni chimiche diverse nello stesso materiale.
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